Dedicato a chi è stato e sarà per sempre un inguaribile romantico
“Come d’autunno le foglie cadono e appassiscono – così quella speranza (di guarire dalla sordità) è per me ormai del tutto inaridita. Parto da qui – quasi nelle stesse condizioni in cui ero arrivato. – Anche il grande coraggio – che spesso mi animava nelle belle giornate d’estate – è ormai svanito.” Il Concerto n.3 si colloca proprio nel periodo in cui Beethoven scrive queste note (postscriptum del Testamento Heiligenstadt, 10 ottobre 1802). Qui per la prima volta il pianoforte si fronteggia dialetticamente con la massa orchestrale nell’evocativa tonalità di do minore che contribuisce a dare un’evidente capacità di esternare pulsioni, arrovellarsi, e chiudersi dolorosamente. E’ l’ultimo di una catena che parte dai mozartiani K466 e K491 in cui la corrispondenza tra lo spirito del compositore e la musica stessa trova nel “patetico” un modo per esaltare la valenza intima del dolore dove limiti umani vengono riscattati dalla superiorità morale.

Nell’essere espressione di un romanticismo incontenibile e ad oltranza, i due poemi sinfonici respighiani Fontane di Roma e Pini di Roma, esibiscono un’impressionante musica dai colori scintillanti che fuoriescono, incontenibili, con uno sguardo che, partendo da Liszt, arriva a Puccini, toccando i russi del ‘Gruppo dei cinque’ (Respighi, tra l’altro è stato prima viola del Teatro Imperiale di San Pietroburgo dove studiò con Rimskij-Korsakov). “Il descrittivismo paesaggistico di Respighi è la traduzione in suoni delle impressioni che può provocare, la visione di quei luoghi imperituri di Roma… Non mancano a questo proposito veri e propri effetti di tipo naturalistico: rintocchi di campane, canti di uccelli, brusii di foglie, scrosci d’acqua……..” (Sergio Sablich)