
Valentina Scheldhofen Ciardelli | 7 novembre 2025
Valentina Scheldhofen Ciardelli è una contrabbassista, compositrice e performer visionaria italo-tedesca, nota per il suo approccio innovativo al contrabbasso come strumento solista e per i suoi progetti che sfidano i generi. Con una carriera che spazia dalla musica classica, al jazz e alla musica contemporanea, si è affermata come figura di spicco nel panorama musicale odierno, celebrata per il suo virtuosismo, la sua innovazione e la sua profondità artistica. Ha ricevuto numerosi premi, tra cui: il Pass Project Composer Residency Fondazione Arturo Toscanini Parma (2024). Esploratrice musicale senza paura, Valentina ha ridefinito il ruolo del contrabbasso nel jazz e nella musica sperimentale. Si è inoltre affermata nella comunità di Frank Zappa, trascrivendo ed eseguendo il repertorio zappiano per contrabbasso in modi innovativi. Attualmente vive a Londra ed è docente di contrabbasso al Trinity Laban Conservatoire of Music and Dance ed è proprietaria del marchio How I met Puccini.
Non si impone, si condivide.
Il messaggio trova la sua strada.
Vincent (the rite) di Valentina Scheldhofen Ciardelli celebra la terra e la comunicazione tra gli esseri viventi, il processo di germinazione e la forza del piccolo, dell’intimo, del silenzioso. È una riflessione sulla potenza dei micro-pattern che, pur essendo quasi invisibili, costituiscono la struttura e l’essenza della big picture.
Musicalmente, questo si traduce in un crescendo organico, fatto di elementi sottili che si intrecciano e si moltiplicano, come avviene nel nostro mondo, nel nostro universo.
La musica ha una capacità unica di comunicare: non solo attraverso il suono, ma anche tramite il corpo, lo sguardo, la vibrazione. È un linguaggio universale che non ha bisogno di traduzione, capace di evocare immagini, storie e connessioni che sono diverse per ogni ascoltatore. Le vibrazioni ci mettono in contatto diretto con l’ambiente che ci circonda, rendendoci partecipi di un sistema più grande, vivo e pulsante.
Per me, la musica è un atto di fede. Come l’arte in generale, è una delle espressioni più profonde e ancestrali della nostra umanità. Oggi più che mai, credo che l’arte debba farsi portavoce di un nuovo tipo di ascolto: più ecologico, meno rumoroso, più consapevole.
La musica non deve solo rappresentare la natura, ma entrare in relazione con essa. Diventare parte attiva di un dialogo in cui l’essere umano non è più al centro, ma in ascolto. Un ascolto profondo, rispettoso, fatto di attenzione per ciò che è piccolo, intimo, silenzioso. Perché sono proprio i piccoli momenti, le esperienze autentiche, le comunità invisibili, a darci un senso profondo di connessione. Che sia in un’arena da 10.000 persone o in una sala con un ensemble acustico e pochi ascoltatori, l’esperienza musicale resta un atto profondamente intimo. Non è egocentrica, ma maieutica: tira fuori, smuove, interroga. E forse è proprio questa la sua funzione più alta: aiutarci a rimanere vivi, presenti, vulnerabili e consapevoli, ogni giorno.
La mia pianta preferita è la cannella: è il profumo che mi rappresenta. Il suo aroma è per me simbolo di calore, profondità e memoria di quando ero bambina.

Rosita Piritore | 16 novembre 2025
Pianista e compositrice classe 1996, Rosita Piritore si avvicina alla musica all’età di 9 anni, intraprendendo lo studio del pianoforte ad 11. Consegue nel 2019 la Laurea di II livello in pianoforte col massimo dei voti, lode e menzione d’onore al Conservatorio Boito di Parma; presso lo stesso Conservatorio nel 2022 consegue la Laurea in composizione col massimo dei voti, lode e menzione d’onore.
Svolge un’eterogenea attività concertistica e suoi lavori sono stati eseguiti e presentati in Europa, America e Cina. Come artista ha collaborato con l’European Opera Academy, operando in Olanda, Lituania e Portogallo, Objet-Trouvé al Centro Musica di Modena, Eparm 2020 presso la Royal Academy of Music di Londra, GATM 2021 di Rimini, Music Diaries International Festival di Salonicco, Parma Film Festival con Alessandro Haber. Dal 2020 ricopre il ruolo di pianista ed arrangiatrice all’interno dell’Orchestra Toscanini Next di Parma. Nel 2024 ha lavorato alla realizzazione delle musiche orchestrali per lo spettacolo Notte Morricone, prestigiosa produzione del Centro Coreografico Nazionale Aterballetto in scena in Italia ed in Europa.
Sursum Corda
Radici (Echi di Marranzano) di Rosita Piritore nasce dal desiderio profondo di riconnettersi con ciò che è essenziale: la terra, il corpo, l’ascolto. In questa opera il mondo sonoro del marranzano, strumento ancestrale della tradizione siciliana (lo scacciapensieri), diventa voce e vibrazione di un’ecologia profonda, intesa non solo come ambiente naturale, ma anche come patrimonio culturale. Pur non utilizzando direttamente il marranzano come strumento, l’opera ne rielabora ed enfatizza le nuance ritmiche, sonore e di atmosfera, evocando un materiale passato attraverso un atto consapevole di riuso creativo.
Il marranzano può essere considerato a tutti gli effetti uno strumento ecologico: piccolo, minimale e artigianale, spesso realizzato con materiali naturali e in processi a basso impatto ambientale. La sua modalità d’uso è sostenibile, basata sul respiro, la bocca e la vibrazione del corpo umano; non consuma risorse materiali, se non l’energia vitale del fiato. Con mezzi semplici, il marranzano produce suoni complessi, incarnando una metafora ecologica: fare di più con meno. Ritengo che dare valore a strumenti tradizionali significhi anche promuovere una sostenibilità culturale, recuperando e rivitalizzando saperi antichi in una forma di riciclo coerente con l’etica del riuso e della preservazione. L’intento è anche quello di far emergere il contrasto tra i suoni naturali ed atavici del marranzano ed il mondo contemporaneo. Il marranzano diventa così simbolo di un equilibrio perduto tra uomo e natura, uno strumento che vive solo attraverso un ascolto profondo e consapevole. In un’epoca segnata dalla crisi climatica e dal consumo eccessivo di risorse, Radici vuole essere un invito a fermarsi, scavare dentro sé stessi e recuperare ciò che è semplice, locale ed organico.
La mia pianta preferita è la rosa, e la fragranza la salsedine: profuma di casa, evoca immagini e custodisce suoni che abitano dentro.
Delilah Gutman | 14 dicembre 2025
Delilah Gutman è compositrice, interprete – pianista e cantante – e poetessa. Di origine Italo-Americana, con radici polacche e partenopee, è nata a Madrid, vive a Rimini ed è docente di Composizione al Conservatorio “Rossini” di Pesaro.
Svolge la sua attività di compositrice e interprete in Italia e all’estero. Per il suo costante impegno nel dialogo interculturale è stata insignita nel 2012 “Ambasciatrice dell’amicizia Israele-Italia” in occasione di un suo concerto in Israele. Pubblica con Curci e Stradivarius
Con Raffaelli Editore ha pubblicato con la prefazione di Manrico Murzi i libri di poesie “Alfabeto d’amore”, “Alfabeto degli opposti”, e “Esistenze/Canti a due voci” con il poeta turco Erkut Tokman- Si è diplomata in pianoforte, composizione e musica elettronica e laureata all’Università di Urbino “Carlo Bo” nel Master di I livello “DSA (Disturbi Specifici di Ap- prendimento), BES (Bisogni Educativi Speciali) e Disturbi dello Sviluppo. Psicopedagogia, Didattica, Comunicazione” nel Master di II livello “Mediazione dei Conflitti.
We are love in action.
(Siamo amore in azione)
Nell’intento di connettersi con l’architettura invisibile della natura, Cantico di astri di Delilah Gutman si sviluppa attraverso uno studio sulla melodia quale elemento mediatore tra la percezione di un ordine ritmico e di una ricerca sonora, tra un tempo sospeso e un tempo che passa, tra la memoria e il presente.
La musica traduce una relazione, come quella tra gli elementi della tavola periodica in una formula chimica.
La pianta mia preferita è il cipresso, un mediatore, tra le sue geografie d’origine – il Mediterraneo orientale e l’Asia minore – e le terre dell’altrove – l’Occidente. Le sue radici, caratterizzate sia per essere a fittone che laterali, trasformano in spazi di vita anche crepe e fessure, e permettono a questo albero secolare di essere resistente ai venti, e di così potersi esporre ai loro canti. La sua forma slanciata suscita la visione di una possibile connessione tra la terra e i cieli, tra la materia e ciò che è impalpabile, tra la luce e l’ombra per ricordarci che vita e morte sono forme eterne della Creazione.
Ho creato il profumo Ecstasa Zohar.
La realizzazione di un profumo genera un linguaggio della memoria, dove la fragranza del gelsomino con la vaniglia ed i frutti rossi narrano di storie abitate e ancora da vivere.
Lucia Ronchetti | 30 gennaio 2026
Lucia Ronchetti ha studiato Composizione e Musica elettronica al Conservatorio S. Cecilia di Roma dove si è anche laureata in Storia della Musica all’Università La Sapienza. A Parigi, a partire dal 1994, ha studiato con Gérard Grisey, e con Sylvano Bussotti, Salvatore Scia, Hans Werner Henze. Nel 2023 la nuova opera Das Fliegende Klassenzimmer è stata eseguita debutterà alla Deutsche Oper am Rhein. Dal 2021 al 2024 è ha l’incarico di direttore artistico della Biennale Musica di Venezia. Tiziano Scarpa, Ermanno Cavazzoni, IvanVladislavic, Eugene Ostashevsky, Katja Petrowskaja, Iso Camartin e Toti Scialoja hanno scritto testi originali per le sue Opere e Action Concert Pieces. È stata compositore in residenza in istituzioni quali Villa Concordia, Bamberg; Studio für elektroakustische Musik, Akademie der Künste, Berlin; Yaddo, New York; Berliner Künstlerprogramm des DAAD, Berlin; Fulbright scholar program, New York; Staatsoper of Stuttgart; MacDowell Colony, Peterborough, NH (USA); Akademie Schloss Solitude, Stuttgart; Schloss Werdenberg, Zürich; Cité internationale des arts, Paris; Fondation Nadia Boulanger, Paris; Fondation des Treilles.
Suave mari magno turbantibus aequora ventis,
e terra magnum alterius spectare.
(È dolce quando le acque del mare sono turbate,
guardare da terra la grande fatica di un naufrago)
Lucrezio, De rerum natura
Schiffbruch mit Zuschauer di Lucia Ronchetti è un omaggio al filosofo tedesco Hans Blumenberg che nel 1979 pubblica Naufragio con spettatore in riferimento alla sua analisi del frammento di Lucrezio dal De rerum natura. Da allora, Naufragio con spettatore è una delle metafore più rivisitate della letteratura; oggi, non solo alla luce delle numerose catastrofi naturali e dei quotidiani attacchi terroristici, sembra essere particolarmente attuale. L’immagine dello spettatore che dalla riva osserva un dolore a lui estraneo ci porta al centro della nostra percezione multimediale.
Contemplare dall’esterno l’infelicità del mondo e dell’individuo, essere solo spettatori dei naufragi altrui, con uno sguardo analitico, distante, “oggettivo” e freddo: questa è la situazione normale di chi usa i media. Maggiore è l’urgenza con cui osserva il dolore altrui, più chiara diventa per lo spettatore la situazione fortunata di non essere (o non essere ancora) lui stesso colpito. Il senso di sollievo che la visione della catastrofe altrui porta con sé, si accompagna alla retorica dello sgomento che deve coprire eventuali sensi di colpa. E il momento in cui l’orrore è ancora in grado di produrre una sorta di effetto sublime: è proprio in quel momento che la catarsi, che la tragedia teatrale ci procura. Ma la metafora del “naufragio con spettatore” ha, dal punto di vista della storia delle idee, anche un’altra componente. Il pericolo del naufragio è, nell’antichità, automaticamente impresso in ogni viaggio dell’anima. Consiste nella punizione per il passo blasfemo oltre la propria frontiera, oltre il luogo assegnato da forze superiori. D’altra parte, ogni naufragio è necessario per schiarirsi le idee sulle cause prime e per affrontare nuovi pericoli. La visione concreta del naufragio diventa ancora più significativa quando la nave, che si sta spezzando, funziona come metafora di un’ideologia. Cosa succede al naufragio e allo spettatore a terra, apparentemente immobile, quando la nave-ideologia si trasforma in un relitto? Quali certezze rimangono allora, quali parti del vecchio sistema si salveranno, quali nuovi sistemi saranno costruiti sulle macerie del vecchio?
Il brano non è descrittivo ma è una risposta intima e acustica alla problematica della dissoluzione del nostro habitat e alla impossibilità di fermare questo processo apparentemente inarrestabile di cui siamo spettatori passivi.
La mia pianta preferita è il salice piangente per la sua eleganza ed espressività formale e perché pensa che sia un’altra metafora di un dolore che condividiamo con tutti gli esseri viventi.
Mi impressiona l’odore dell’incenso per la sua carica emotiva e per il suo uso rituale in differenti tradizioni religiose. Inoltre, il suo di questa parola e la assonanza con incendio crea una sensazione di pericolo e di ricerca di rifugio sintomatica della nostra situazione attuale.
Riccardo Panfili | 19 marzo 2026
Riccardo Panfili diplomato in pianoforte e composizione, si è perfezionato con Azio Corghi all’Accademia Chigiana di Siena. Numerosi i concorsi internazionale che si è aggiudicato e i suoi lavori sono stati eseguiti dalle principali orchestre italiane dall’ HRO Orchestra Luzern, Kammerakademie Potsdam, e da importanti e illustri direttori. Da qualche anno collabora stabilmente con i Tetraktis percussioni e dal 2012 partecipa al progetto dei Musicians for Human Rights. Nel 2013 è uscito il Cd Decca con Alessandro Carbonare e i Tetraktis con il suo pezzo F for Fake. Nel 2016 il ha debuttato nella stagione dell’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia una nuova versione de L’Aurora, probabilmente… diretta da Sir Antonio Pappano e al Teatro alla Scala di Milano, Fabio Luisi ha diretto la première di Oltre la linea, nuovo pezzo commissionato dalla Filarmonica della Scala, Nel 2020 è stato scelto come composer in residence dalla Filarmonica Toscanini di Parma. Nel 2011 ha avuto l’onore di essere scelto da Hans Werner Henze come suo assistente musicale, e nel 2013 il Comitato Direttivo della Hans Werner Henze Stiftung lo ha nominato primo compositore in residence con Borsa di Studio biennale. Le sue composizioni sono pubblicate da Raitrade e Suvini Zerboni Milano.
Il Potere cresce a discapito della Potenza
CambiareRotta di Riccardo Panfili
Riflettendo sul progetto Ecosounds, che unisce musica e coscienza ecologica, non posso esimermi dal dire che non nutro alcuna simpatia per la Natura, pur essendo nato e cresciuto, fino all’adolescenza inoltrata, in un piccolo paese umbro immerso nelle alture appenniniche, circondato da quadrupedi, boschi e acque sorgive.
So che può sembrare quantomai imbarazzante, ma non ho nessuna preferenza né per fiori, né per profumi (eccetto il fetore del letame che mi rimanda, come una candida madeleine proletaria, agli anni dell’infanzia).
Solo nell’adolescenza, con le prime avvisaglie di una qualche coscienza politica, la questione scottante, emergenziale, dell’ecologia risvegliò un interesse (meramente teorico-politico) per Gaia, senza peraltro, riconciliarmi con essa.
Anzi, accrebbe il sospetto verso un pianeta capace di allevare in grembo un essere – quello umano – tanto idiota da devastare pervicacemente la propria dimora, per motivazioni legate a un complesso di astrazioni e mitemi da lui stesso creati: denaro, potere, ruoli sociali, invidia del pene (altrui), quotazioni in Borsa, speculazioni finanziarie, chirurgia estetica, e compagnia delirando.
Al netto del mio non-rapporto con la Natura, CambiareRotta, vuole essere un invito ad una lotta continua, dura, radicale, contro l’idiozia beota di un Potere economico-politico che, mentre blatera di spartizione di territori, di chiusura dei confini, di dazi, mazzi e contro dazi, mentre dà i numeri come se il Mondo intero fosse divenuto un Cottolengo Globale, incendia il letto dove dorme, avvelena i pozzi da cui beve e defeca nel piatto dove mangia.
Alessandro Melchiorre | 12 febbraio 2026
È ligure Alessandro Melchiorre, ma la sua carriera si è svolta prevalentemente a Milano: dove si è laureato in Architettura al Politecnico, compiendo parallelamente gli studi di composizione presso il Conservatorio (diploma alla Hochschule di Freiburg im Br. con Brian Ferneyhough e Klaus Huber). La frequentazione del DAMS di Bologna (si laurea con Luigi Rognoni) è all’origine della sua produzione saggistica, che comprende scritti su Schumann, Schönberg e l’Espressionismo, Grisey, Xenakis. Importante nella musica di Melchiorre è la presenza o l’ispirazione dell’elaborazione elettronica: in questo si vedono le frequentazioni dei Ferienkurse di Darmstadt (premio Kranichstein per A Wave) e dell’Ircam parigino (Le città invisibili, Ensemble Intercontemporain-IRCAM, David Robertson), solo per citare due tra le più significative. Suo scopo dichiarato è quello di unire nella scrittura musicale la penna e il computer, intesi dal musicista come due paradigmi, due modi di pensare la musica, diversi ma che è necessario, seppure difficile, integrare. È stato direttore del Conservatorio di Milano dal 2013 al 2016.
Si scrive per essere letti,
si scrive musica per essere ascoltati
Suoni, Solo di Alessandro Melchiorre
La musica deve occuparsi dell’ecologia (Eco) del suo ambiente (Sounds). L’ecologia del suono si basa sull’ascolto, sulla valorizzazione dell’ascolto ci racconta. Vorrei che la musica che scrivo fosse un invito ad ascoltare; viviamo in un periodo dominato dall’immagine, dal look, da ciò che si vede e non -anche- da ciò che si sente… (in genere oggi siamo capaci di minore attenzione – lo standard sono i tre/quattro minuti di una canzone).
Scrivere un pezzo, suonarlo, ma anche entrare in una sala da concerto, corrisponde a far silenzio, vuol dire far tacere l’eccesso di informazioni che ci circonda (e -spesso- ci assale) e concentrarsi su ciò che si sente (non è certo per caso che in italiano il sentire nel senso di percepire suoni, rumori, etc. abbia l’etimologia in comune con il “sentire” di sentimento, di sensazione, quindi che già dal vocabolario la primarietà dell’elemento sonoro per l’esperienza sia assoluta…).
È da questo rinnovato -e attivo- sentire che si dispiega la fantasia dell’ascoltatore, è a questo rinnovato -e attivo- sentire che si rivolge il fantasticare dei compositori.
“Udire è un fenomeno fisiologico; ascoltare è un atto psicologico” diceva Roland Barthes in un breve e prezioso testo sull’Ascolto (1976); l’ascolto è un impegno -reciproco- ma se si ha il desiderio -la necessità- di comunicare qualche volta accade il miracolo e la musica diventa “una macchina per sopprimere il tempo”, capace di farci accedere “ad una specie di immortalità”.
La mia pianta è l’ulivo, perché è forte e ha delle forme incredibili.
E il fiore è la rosa: perché “a rose is a rose is a rose is a rose…”.
La fragranza preferita è la zagara perché è il sole e il mare è il cielo e la terra, è il mediterraneo.
Leonardo Marino | 27 marzo 2026
Leonardo Marino è un compositore siciliano con base a Milano. È un musicista con background sia nella musica classica che nel jazz. Ha studiato composizione a Milano con Alessandro Solbiati e a Ginevra con Michael Jarrell. La sua musica è stata eseguita e programmata da diverse orchestre ed ensemble. La sua opera da camera “APNEA” è stata eseguita durante il “61esimo Festival di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia” nel 2017.
Nel 2020 è stato uno dei due “mentored composer” della Péter Eötvös Foundation.
Nel settembre 2022, ha vinto il Premio di Composizione, categoria musica da camera, all’International Competition George Enescu. Ha vinto il primo premio alla XXIX edizione del “Concorso Internazionale di Composizione 2 Agosto”. Nel 2024 è stato in residenza presso l’Herrenhaus Edenkoben, dove ha trascorso quattro mesi dedicandosi a diversi progetti e approfondendo la propria ricerca compositiva. La sua musica è pubblicata da SZ Sugar.
Gutta cavat lapidem
(La goccia scava la pietra)
De Rerum Natura di Leonardo Marino
Il compositore intende affrontare il fragile e conflittuale rapporto tra l’uomo e la natura: un tema antico, ma ancora oggi straordinariamente attuale. In particolare, prendo spunto dal pensiero di Lucrezio, che nel De rerum natura individua un profondo contrasto tra Ratio e Religio: la ratio rappresenta per Lucrezio la forza liberatrice del pensiero che illumina l’oscurità del pregiudizio; la religio, al contrario, è per lui una forma di chiusura mentale, un offuscamento della conoscenza che imprigiona l’uomo in un’ignoranza passiva e irriflessa.
Ritrovo questa antinomia nella polarizzazione contemporanea sul tema del cambiamento climatico: da un lato chi affronta la questione con razionalità, cercando soluzioni concrete; dall’altro, chi nega il problema, rifugiandosi in una irrazionale repulsione, spesso alimentata da disinformazione o paura del cambiamento. L’ideale di un ordine naturale armonico ci appare oggi distante, quasi perduto, ma conservo la speranza che si possa tornare, un giorno, a un nuovo equilibrio, fragile, certo, ma possibile. In musica, tutto ciò prenderà forma come un duello di contrasti: tensioni, scontri e rare tregue che si rincorrono alla ricerca di una soluzione, fragile quanto necessaria.
La musica evoca, le parole orientano. In questo progetto cerco di tradurre in suono la mia personale visione del tema, lasciando che sia la musica a suggerire emozioni e riflessioni. Il titolo sarà la chiave d’accesso al mio pensiero, un invito a entrare in sintonia con la mia prospettiva.
Nel giardino dei miei genitori cresce un albero di limoni che ha più di settant’anni. Sono cresciuto sotto la sua ombra, e per me rappresenta il senso più profondo di casa: radici, memoria, affetto.
La mia fragranza preferita è quella della zagara. In primavera, il suo profumo riempie l’aria di promesse e possibilità. È un aroma che per me ha il sapore del rinnovamento: un profumo di speranza.
Silvia Colasanti | 16 aprile 2026
“La musica di Silvia Colasanti prende, arriva al pubblico. Ed emoziona, noi per primi che la suoniamo” (Salvatore Accardo).
Nel 2013 vince lo European Composer Award (Berlino). Nel 2017 è nominata dal Presidente della Repubblica Mattarella Ufficiale della Repubblica. È presente con le proprie composizioni nelle principali istituzioni musicali internazionali. Di fondamentale importanza per la costruzione della sua poetica, tra gusto “materico” del suono, forte lirismo e ricchezza di registri, è la collaborazione con solisti e direttori di calibro internazionale. È stata compositrice in residenza presso La Toscanini e l’Orchestra Sinfonica di MMilano.Firma le musiche per la Medea di Euripide con la regia di Federico Tiezzi al Teatro greco di Siracusa per la Fondazione Inda. Nel 2020 è coinvolta nel progetto ‘Canto della rinascita’ della Società del Quartetto di Milano, in cui presenta ‘Novemarzoduemilaventi’, su testo di Mariangela Gualtieri, interpretato da Elio de Capitani e Sentieri Selvaggi. Con Raffaele Pe e La lyra di Orfeo realizza ‘Frammenti di Lettere amorose’ per il progetto del Ministero degli Esteri ‘Vivere all’italiana in musica’. Nel 2018 ha inaugurato il Festival di Spoleto con l’opera Minotauro, su testo di Réné De Ceccatty e Giorgio Ferrara. Questa è la prima opera di una Trilogia sul Mito che prosegue con l’opera Proserpine, da un dramma di Mary Shelley e con Arianna, Fedra, Didone. Nel 2016 debutta in prima assoluta al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Deve la sua formazione allo studio con Luciano Pelosi e agli incontri con Fabio Vacchi, Wolfgang Rihm, Pascal Dusapin e Azio Corghi. Nel 2020 è uscito il CD di Quartetti d’archi, interpretati dal Quartetto Nous per la Brilliant Classic. Quest’anno il Teatro alla Scala di Milano le ha commissionato una nuova opera Anna A. andata in scena lo scorso 28 settembre.
Tu dal cui seno immortale
nascono dèi, uomini e bestie,
foglia e stelo, germoglio e fiore,
alita la tua influenza divina
sulla tua stessa figlia, Proserpina.
Se con le nebbie della rugiada serale
nutri questi giovani fiori
finché non crescono, in profumo e colore,
figli più belli delle Ore,
alita la tua influenza divina
sulla tua stessa figlia, Proserpina.
Percy Shelley
Sacred Goddess, Mother Earth di Silvia Colasanti tratto dall’opera con l’opera Proserpine di Mary Shelley e del marito Percy, è una sorta di tragedia pastorale, con al centro i personaggi mitologici di Proserpina e di sua madre Cerere.
Racconta il rapimento di Proserpina da parte di Plutone e l’intervento di Giove, padre di Proserpina, che detta a Plutone di lasciarla tornare sulla Terra in primavera e in estate, e di giacere con il suo sposo infernale in autunno e in inverno. Il mito aveva proprio lo scopo di chiarire l’alternanza delle stagioni. Mary Shelley usa questo mito per sviluppare le sue riflessioni sull’ambiguità dei sentimenti (in particolare materni e filiali) e sull’ambivalenza degli esseri umani: lo scrivee subito dopo Frankenstein.
Come tante donne dopo di lei, sfrutta il mito di Proserpina (o Persefone o Corè) per parlare anche del rapporto madre-figlia, un tema per lei ossessivo.
La mia fragranza preferita è il vetiver; ha un odore terroso e legnoso, con sfumature affumicate e a volte leggermente dolci o amaro. È un profumo complesso che ricorda l’odore della terra umida e del legno secco, ma può variare leggermente a seconda della sua provenienza geografica. Alcune persone lo percepiscono anche come fresco o verde, con un tocco di agrumi.
Martino Traversa | 10 maggio 2026
Martino Traversa, si approccia da autodidatta alla musica a partire dall’età di 7 anni e successivamente, studia pianoforte, composizione, musica Jazz, musica elettronica e Information Technology a Parma. Ottiene il diploma in tecnica dell’improvvisazione pianistica presso l’Accademia di Alto Perfezionamento di Pescara e frequenta i corsi estivi di Siena. Si perfeziona al Mozarteum di Salisburgo e consegue il master al CCRMA (Center for Computer Research in Music and Acoustics) presso la Stanford University in California. Dal 1987 al 1989 studia con Luigi Nono, uno dei più importanti compositori del XX secolo. Con la sua approvazione e sostegno, nel 1990 decide di fondare l’Ensemble Edgard Varèse, di cui sarà direttore. L’anno successivo istituisce la rassegna internazionale di musica moderna e contemporanea Traiettorie, che già dalle prime edizioni si distingue per la qualità delle proposte artistiche e che, da oltre trent’anni, è una delle più importanti manifestazioni di musica contemporanea nel panorama nazionale e non solo. Le sue opere sono eseguite dai principali interpreti internazionali, fra i quali Klangforum Wien, Arditti Quartet, Ensemble Recherche, Neue Vocalsolisten, Ensemble Sillages, Accroche Note, e incise per le etichette discografiche Stradivarius, Neos e Die Schachtel.
Il faut être absolument moderne.
(Bisogna essere assolutamente moderni)
Arthur Rimbaud
senza titolo (per ora) di Martino Traversa
Il tema è legato alla natura, al paesaggio che continua ad essere deturpato e soffocato dal cemento. È il grido d’allarme della natura stessa che attraverso le sue manifestazioni più estreme invoca all’uomo di fermarsi.
Lo farò naturalmente con il mio linguaggio musicale, che potrei definire una sorta di neo-modernismo con urgenze retrospettive fra debussysmo e ravelismo.
La mia musica in genere non descrive, ma certamente offre agli ascoltatori l’opzione di “visualizzare” un certo paesaggio sonoro, e dunque a riflettere sui temi cogenti della natura.
La mia pianta preferita è l’ulivo, per la sua bellezza caotica, perché simboleggia la pace, la longevità, la forza e la resilienza. Adoro la fragranza del pane appena sfornato, perché è buonissimo!
Perché è un alimento che tutti necessitano, ma che non tutti riescono ad avere.
Federico Gon | 23 maggio 2026
Musicologo e compositore, Federico Gon ha studiato presso l’Università degli Studi di Padova, laureandosi cum laude (2009) ed addottorandosi (2013); ha al suo attivo numerose partecipazioni a convegni nonché la pubblicazione di monografie e numerosi saggi in riviste specializzate in ambito operistico e sinfonico del XVIII-XIX secolo.
Vincitore del premio “Tesi Rossiniane” (Fondazione Rossini di Pesaro, 2013), è membro del “Comitato per l’Edizione Nazionale delle commedie per musica di Domenico Cimarosa” e ricercatore post-doc presso l’Università di Vienna (2016-2019).
Parallelamente, dopo un inizio da autodidatta, ha compiuto studi di composizione con Azio Corghi e Mauro Bonifacio. Interessato sia all’ambito operistico che a quelli sinfonico e cameristico, suoi lavori sono stati commissionati ed eseguiti da enti quali il Teatro G.Verdi di Trieste, il Gran Teatro La Fenice di Venezia e da insiemi quali l’Orchestra Sinfonica di Milano, l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, L’orchestra I pomeriggi musicali di Milano, il Quartetto Maffei.
Vivere non necesse, navigare necesse est.
Navigare è indispensabile, vivere no.
E (h)art di Federico Gon è un gioco di parole fra, art, earth appunto terra e heart cuore e questo risiede anche nel fatto che la E in inglese è la nota mi / la H il si naturale / e la A il la.
Ho affidato a queste tre note il nucleo tematico di tutta di tutto il lavoro il tema trattato è praticamente una sorta di visione del pianeta terra scomposta nei suoi elementi, cioè gli oceani, le foreste, le montagne, gli esseri viventi e poi un finale che riunisce tutto. È come dire: ho cercato di dare un ideale rappresentazione di quello che abbiamo.
Una descrizione quasi naturalistica ma ci sono dei suoni fatti con l’orchestra che richiamano invece l’ambiente antropico come a dire l’intervento dell’uomo che distrugge quello che c’è di naturale.
La mia pianta preferita è assolutamente sopra ogni cosa il calicanto perché è l’unico fiore l’unica pianta che fiorisce d’inverno e che profuma d’inverno quindi nelle giornate un po’ così un po’ tristi rallegra l’ambiente, rallegra il mondo con i suoi fiori e il suo profumo, fragranza preferita da Federico.
Io sono perito agrario quindi ho una visione molto naturalistica delle piante… e a me piace molto il girasole perché lo vedo sempre associato a dei paesaggi assolati puliti, dove non hanno spazio le costruzioni dell’uomo e non ha spazio il cemento della città.